Luoghi Infestati
Ospedale Psichiatrico Volterra – La Dimora Degli Incompresi
Volterra, storia antichissima, tempio etrusco e città bellissima. Città pittoresca, carica di cultura e meta turistica internazionale da sempre e per sempre. Visitandola si prova un fascino puro ed è facile “perdersi” nella sua bellezza. A proposito di “perdersi” se si sbaglia strada o si cerca altro il panorama cambia drasticamente. Nascosto, allontanato, dimenticato in mezzo alla campagna appare l’ospedale psichiatrico di Volterra. La dimora degli incompresi.
La Storia
La Casa dei poveri
Nel 1884 la provincia di Pisa trasferiva abitualmente circa 500 “malati di mente” verso l’ospedale San Niccolò di Siena dove la direzione, per ridurre il numero dei ricoverati, decise di aumentare la retta sino a 1.50 lire. Il prefetto di Pisa, il commendatore Sensales, si oppose con decisione e tentò, inutilmente, di far abbassare i prezzi. Intento a risolvere la situazione cercò un’altra strada, ovvero offrire agli enti locali la retta al prezzo di 1 lira. L’offerta venne accettata da Luigi Caioli, già presidente della congregazione di carità di Volterra. L’accordo iniziò a portare sempre più pazienti e nel 1890 divenne ufficiale “l’asilo dementi” alla casa dei poveri di Volterra. Il presidente Caioli nel 1896 diede in commissione all’ingegnere Filippo Allegri la costruzione di nuovi padiglioni per “creare un vero e proprio istituto psichiatrico”. Il progetto vide la luce alla fine del 1897.
Luigi Scabia
La struttura voluta da Caioli procedeva a gonfie vele, i ricoveri erano in forte aumento, e il passo successivo era di stipulare convenzioni con le zone limitrofe e Pisa. Ma proprio Pisa rifiutò, dato che non vedeva bene una struttura lontana e decise di farne costruire una propria. Decisione che fece abbassare le visite all’asilo dementi, portando lo psichiatra A. Giannelli a rinunciare all’incarico. La congregazione di carità non si perse d’animo e nel 1900 nominò lo psichiatra LUIGI SCABIA presidente della struttura.
La Crescita
Il progetto che Scabia aveva in mente iniziò a prendere corpo, e tra il 1902 e il 1910 “sorsero”nuovi padiglioni con una locazione ben precisa. Il direttore infatti voleva che l’intero istituto somigliasse a un villaggio costruendo anche delle strade per spostarsi tra i vari edifici. Di tutto questo si occupò ancora una volta l’ingegner Allegri. L’ampliamento e la costruzione di nuovi reparti furono una carta vincente per un altro progetto: la collaborazione con altri enti locali. Molte regioni accettarono la “sinergia” di custodia dei malati tra le quali Livorno, La spezia e la “nemica” Pisa.
Il Buon Direttore
Luigi Scabia probabilmente considerava il suo lavoro una sorta di missione e la qualità personale che si evidenziava era l’umanesimo. Il dottore si dedicò completamente a cercare di restituire dignità e “normalità” alla “reclusione” dei ricoverati con opere ben precise, dedite a farli sentire importanti ed esistenti. In base a questo l’istituto, ormai enorme, prevedeva la presenza di giardini e fontane, negozi, officine e persino 2 colonie agricole e fece coniare una moneta. Essa era ad uso dei pazienti per acquistare ciò che desideravano e molti avevano un vero stipendio dato che nelle strutture lavoravano proprio loro. Spesso si organizzavano feste dedite a sviluppare l’estro e la fantasia dei ricoverati per capirne anche meglio le problematiche mentali e in varie occasioni partecipava anche il personale medico. La “missione” di Scabia era chiara e mirata, i pazienti dovevano sentirsi come in una “grande famiglia”, autonomi e rispettati. Come “ESSERI UMANI” appunto.
Ergoterapia
Tutti i benefici e la concessione di “dignità umana” servivano a uno scopo, sviluppare la terapia del lavoro, la quale era il mezzo per un fine più grande, ovvero il reinserimento in società e la stabilizzazione della malattia. La struttura non doveva avere nessuna barriera, né strutturale e tanto meno mentale e i pazienti dovevano sentirsi liberi di andare ovunque e sentirsi “liberi”.
I Successori
Nel 1934 cambia lo statuto dell’istituto riguardante il pensionamento, l’età viene abbassata da 70 a 60 anni e il primo a farne le spese è proprio Luigi Scabia. Oltre al pensionamento forzato subirà anche l’umiliazione dello sfratto dalla villa di S. Lazzero da sempre sua dimora. Il 20 ottobre 1934 in una camera d’albergo a Volterra il direttore morì per una crisi cardiaca. Egli chiese e ottenne di essere seppellito insieme ai “dimenticati” ( ovvero le salme non richieste dalle famiglie) nel cimitero del istituto. Questo Fu l’ultimo grande gesto di umanità del buon direttore. I suoi successori, con ispirazione e dedizione continuarono sulla strada da lui iniziata e gestirono sotto i suoi insegnamenti l’ospedale superando anche le difficoltà della guerra. Nel 1948 due padiglioni, il Bianchi e il Chiarugi furono riassegnati a sezione di rieducazione minorile.
Gli Anni Bui
Nonostante la visione umanitaria imposta da Scabia esisteva già dal 1904 una “struttura piramidale” che definiva il sistema di comando. Quindi il primario dettava regole e provvedimenti, e il personale eseguiva senza discussioni a discapito dei ricoverati che subivano questa sorta di “polizia sanitaria”. Furono anni bui per i degenti, le restrizioni prevedevano sbarre alle finestre, isolamento, e il sistema fu molto aspro e durò molti anni.
Il Cambiamento
Nel 1963 ebbe inizio la “battaglia” per i diritti umani che prevedeva l’istituzione di un sistema più morbido. Sebbene solo pochi operatori aderirono di buon grado questo fu comunque l’inizio del cambiamento. Lo scopo era di rompere il sistema “marziale” di gestione e quindi sensibilizzare il personale a rendere più serena la vita nell’istituto. Il primo tentativo “segnante” nacque nel 1973, un’organizzazione chiamata VOLTERRA 73, la quale intenzione era di ricreare un “laboratorio artistico” all’interno dell’ospedale. Il programma prevedeva la collaborazione di molti artisti che con le loro opere avrebbero portato arte e spirito di aggregazione, ma ancora una volta il “regime” si oppose con forza. L’operazione venne a malincuore abbandonata.
I Comitati
Dopo il fallimento del progetto artistico lo stesso anno scese in campo la politica. Con diversi partiti che in modo deciso”imposero” all’istituto una comunità terapeutica. Il progetto iniziò nel 1975 e nacquero così dei comitati di gestione, che furono subito osteggiati dai “conservatori”. Ma nonostante questo il loro lavoro ebbe inizio, e prevedeva diverse funzioni tra le quali il reinserimento in società dei ricoverati. Le altre iniziative erano mirate al ripristino dell’ergoterapia, alla creazione di scuole per qualifiche personali e per attività culturali. I comitati coinvolsero nella loro missione anche la città e il movimento studentesco. Cittadini e studenti entrarono nei vari padiglioni nel tentativo di rovesciare il sistema e restituire umanità, ma i primari e gli operatori si opposero con decisione. Non c’era nessun intenzione da parte loro di cambiare le cose raggiungendo quindi l’obbiettivo di far smantellare i comitati. Ancora una volta vinse l’ottusità.
Legge Basaglia
Nonostante la delusione per le iniziative andate male, alla fine il “buon senso” ebbe la meglio, e fu istituita la LEGGE 180. Essa prevedeva l’umanità nei rapporti, nella gestione dei reparti e nel trattamento quindi decentrare la cura psichiatrica e meno ottusità nel sistema. L’applicazione ebbe un andamento lento e difficoltoso, anche per via dei problemi di reinserimento dei pazienti cosa malvista dagli abitanti della città. La chiave di svolta definitiva avvenne con il centro di igiene mentale istituito nel 1977. Esso prevedeva la formazione del personale qualificato e il reintegro graduale dei pazienti in società oltre che l’uso solo se “necessario” di terapie psichiatriche. Un grosso passo verso la”normalità” era stato finalmente fatto. Nel 1978 grazie alla Legge Basaglia tutti i manicomi e le loro “regole” cessarono di esistere.
Oreste Fernando Nannetti
Ovvero il “testimonial” numero uno dell’ospedale psichiatrico di Volterra. Nato a Roma nel 1927 in giovanissima età finì in un istituto di carità per “presunti”problemi psichici, tali cause lo porteranno a girare diversi istituti fino ad arrivare a Volterra nel 1958. All’interno dell’ospedale fu spesso spostato in vari reparti nel corso della sua permanenza. Visse gli ultimi anni di vita in città dove morì nel 1994.
Arte e Follia
Il “colonnello astrale”, uno dei tanti soprannomi che era solito darsi Nannetti, aveva sviluppato durante la sua clausura una sorta di “arte folle”. Disegnò infatti negli anni, in diverse parti dell’istituto, dei graffiti contenenti strani messaggi in codice, il tutto usando le fibbie della cintura. Oltre a questo era sovente scrivere lettere ad amici immaginari dove raccontava “la visione delle cose” a modo suo. Nei suoi racconti inoltre, afferma di poter comunicare con altre forme di vita, di viaggiare in altri mondi e quant’altro gli suggeriva la sua straordinaria mente.
Opere e Fama
Anni dopo la chiusura del istituto un’ex infermiere, Aldo Trafeli, rimase impressionato dalle opere di “NOf4” e le fece fotografare in modo professionale per farle conoscere al mondo. Il matto “diventa artista”e i suoi lavori vengono riconosciuti da molte riviste e programmi di settore, la sua fama supererà i confini italiani portandolo a essere riconosciuto anche all’estero. Riceverà anche dei compensi dei quali poco gli importerà, dimostrando invece molto interesse riguardo le impressioni sulla sua arte. Oggi le opere di Nanetti sono esposte al museo Lombroso di Volterra, la sua “saga” può essere considerata la riscossa di molti incompresi e dimenticati.
La fine
Nel 1978 in virtù della legge Basaglia vennero chiusi tutti gli istituti psichiatrici compreso il complesso di Volterra. Da allora l’istituto è in stato di abbandono e degrado con varie parti inagibili e pericolanti. Ad oggi la proprietà resta comunque privata con divieto d’accesso, ma questo non ferma le frequenti visite di curiosi e appassionati.
LEGGENDE E RICERCA PARANORMALE
Leggenda
Come spesso accade la realtà presa dal punto di vista delle “leggende urbane” prende un’altra forma e si inasprisce fino ad arrivare ai confini dell’horror. Qui infatti l’operato all’interno della struttura racconta di torture, esperimenti umani e uso frequente di pratiche come l’elettroshock. Un vero e proprio inferno in terra, dove cambia anche la figura di “Nannetti” trasformato in un pazzo chiuso in una camicia di forza che in preda alla disperazione “graffia” le pareti. Naturalmente la verità si “accomoda” nel mezzo considerando che qualche pratica forte ci sarà stata, ma è difficile credere a tutto questo. Resta improbabile anche solo immaginare un uomo in stato di immobilizzazione che gira libero per i corridoi intento a graffiare i muri.
Ricerca
La ricerca paranormale segue di pari passo i racconti con spesso la presenza di atteggiamenti al limite del ridicolo e errori di natura storica sui fatti avvenuti. Da membro del settore non nego la possibile presenza di “anomalie”, ma allo stesso tempo diffido di presunte manifestazioni testimoniate. Nella mia ricerca personale nel luogo non ho riscontrato forti segnali di attività. Al contrario ho avuto la sensazione che forse è un luogo da lasciare in pace.
Conclusioni
Sensazioni personali
Senza girare troppo intorno alla questione, diciamo dubito che l’utilizzo di queste strutture ha radici morali decisamente ottuse. Se da un lato è giusto curare chi ha gravi disturbi dall’altro si censura senza scrupoli l’estro, la fantasia e la “libertà di essere” in genere. Non c’e nulla di male nell’essere un pò “strambi” e credere in presunte assurdità per di più se non ci sono prove tangibili che smentiscono il contrario. La stessa figura di Oreste Nannetti, oggi grande artista riconosciuto, subisce stralci di paradosso e ipocrisia. Grandi opere visionarie da apprezzare, ma guai a a voler dare un piccolo credito ai suoi racconti. Potremmo finire all’igiene mentale, e ringraziamo che i manicomi sono chiusi…