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AMERICAN HORROR STORY CULT- IL MIO POST FINAL SEASON

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NO SPOILER EVIDENTI.

Il mercoledì sera, da qualche mese a questa parte per me è stato solo American Horror Story, la serie tv del secolo per gli amanti dell’horror. Ho aspettato ogni singolo mercoledì l’uscita della puntata coi sottotitoli che veniva trasmessa da Fox America la notte precedente. E stasera mi sono gustata come un bicchiere d’acqua nel deserto il finale di stagione.

Cult, all’inizio è per me è stata come la prima sigaretta adolescenziale; la fumi, ma non ti convince, boccata dopo boccata non ne puoi più fare a meno. Non me ne vogliano male gli anti tabagisti. E’ stata una scoperta avvenuta un passo alla volta, ed è diventata in pochissimo per me, la stagione meglio riuscita di Ryan Murphy.

Non sapevamo cosa aspettarci dalla scelta di un tema cosi controverso come quello delle elezioni americane del 2016. Devo ammettere che Murphy ha trattato l’argomento con eleganza unica. Non c’è satira, come tutti si aspettavano, ma c’è un’escalation verso una verità unica nel suo genere, che ci spiattella davanti agli occhi quello che sono gli Stati Uniti e credo anche il resto del mondo oggi.

Le minoranze vengono tutte nominate e trattate con particolare cura in ogni loro aspetto. Afroamericani, neonazisti, omosessuali, immigrati, fobici, detenuti, tutti utilizzati per descrivere quello che per noi è il real horror story, ovvero la paura del diverso e dell’ingestibilità di esso.

Il personaggio di Ally, interpretato dalla magnifica Sarah Paulson racchiude tutto quello che è l’uomo oggi. Siamo tutti vulnerabili in un modo o nell’altro e tutti possiamo cambiare idea anche su quello che dovrebbe essere imprescindibile. Io mi ripeto sempre che solo gli stolti non cambiano mai opinione.

La crescita del personaggio di Ally potrebbe essere comparata alla crescita della nostra persona, lo scopo finale della nostra vita è già insito in noi agli albori, ma siamo costretti a soffrire, sbagliare, massacrarci per arrivare al fine ultimo.

Il personaggio interpretato da Evan Peters, Kai Anderson, è un pazzo folle, ma anche un magnifico oratore, come quelli che la nostra storia ci ha sempre presentato fino ai giorni nostri. Le verità assolute che ho sentito uscire dalla sua bocca sono ineccepibili, il problema è che sono state utilizzate in maniera sbagliata da lui stesso, gli si sono ritorte contro. Non tutti gli esseri umani sono pronti a ricevere alcuni messaggi. Qui Murphy ha voluto descriverci quello che è l’uomo comune. Spesso in possesso della verità, ma a causa del vociferare, o meglio del beelare del mondo intero, ne fa un cattivo uso.

L’intreccio dei personaggi nel loro complesso è geniale. L’unione delle minoranze inizialmente ci convince che la rivoluzione estrema sia l’unica via per salvare il mondo, che è ormai nel caos più totale. O forse siamo noi a voler vedere il caos anche dove non esiste.

Andando avanti di puntata in puntata, capiamo invece che anche i leader più convinti sono frutto di un meccanismo comune , che l’essere umano è sempre e comunque debole, facilmente influenzabile dalla globalità esterna.

Sono una persona cresciuta a pane e horror, potrei tranquillamente vedere un film dal tema paranormale, la notte di Halloween in un cimitero. Eppure questa stagione di American Horror Story mi ha lasciato sempre col fiato sospeso ed è riuscita a creare dentro di me la vera paura che dovrebbe trasmettere un horrormovie. La paura dell’incognita e del fatto che tutto quello che noi vediamo è reale. Le vere paure sono dentro di noi e si liberano in diversi modi.

La puntata che parla delle sette americane, con veri documentari misti a scene girate sempre col nostro amato Evan Peters che interpreta tutti i vari leader, penso che sia la puntata meglio riuscita di tutti gli American Horror story visti fin ora. Tutto sembra reale, come se le famose “storielle di Kay” prendessero forma e i personaggi fossero realmente di fianco a me sul divano, a raccontare quello che sono stati e quello per cui vogliono essere ricordati, come se avessero ancora bisogno di trovare dei nuovi adepti, per il loro personale esercito di uomini fidati.

Il finale ci stupisce, non c’è un lieto fine per nessuno a mio avviso. Tutti rimangono ancorati a quello che vorrebbero essere e falliscono.

Lena Dunham

Come la povera Valerie Solanas, interpretata da una fantastica Lena Dunham, che per altro ho amato all’interno della stagione, ha fallito in quello che era il suo obiettivo di pulizia maschile, con la famosa SCUM, ma ha lasciato comunque un segno, che le generazioni femministe future hanno smussato, sistemato e reso sicuramente meno folle.

Proprio la scelta di Murphy di inserire un’icona femminista  controversa dei giorni nostri come la Dunham, ci fa comprendere quello che a mio avviso è stato l’obiettivo finale del regista. Un inno al femminismo moderno, che mette in guardia su quello che sta accadendo oggi. Ha giocato sui sentimenti di oppressione delle donne di questo ultimo decennio, che possono però essere molto pericolosi se gestiti in malo modo.

Ally è l’esempio del femminismo sbagliato. E’ il raggiungimento di emancipazione a discapito di tutto quello che ostacola il suo cammino. Credo che Murphy abbia voluto sensibilizzare le persone in egual modo, al di la del sesso, delle razze e di tutto il resto.

Solo con una sensibilizzazione al bene comune potremo vincere, al di la di ogni ideologia e partito politico.

Rimango in trepidante attesa per quella che sarà la nuova stagione e sono curiosa di capire se Murphy è riuscito a creare un filone horror più attento e intelligente, che può andare oltre alla passione per lo splatterismo incondizionato degli horror popolar vincenti.

Cresciuto a pane e horror, coltiva questa passione fin da piccolo che lo ha portato ad aprire Horror Stab insieme a Francesco per condividere questo meraviglioso genere con tutti i fan del genere.

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