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[Recensione] Suspiria – 2018
L’0maggio di Luca Guadagnino ad un grande film del 1977. La seconda vita di Suspiria, una pellicola di Dario Argento.
La Trama
Diviso in sette anni, la pellicola non delude. Si inizia dall’arrivo a Berlino di Susie Bannon e si finisce con la cancellazione dei ricordi del pubblico. Dopo una serie di eventi, Susie viene viene a sapere del grande segreto che si nasconde nella scuola di danza. Fra lei e la direttrice della scuola di danza si crea un legame che va ben oltre il semplice ballo. Un film in continua evoluzione fotogramma dopo fotogramma che non manca di stupire.
L’Analisi
Quarant’anni dopo il clamoroso successo di Suspiria di Dario Argento, Luca Guadagnino (Chiamami col tuo nome, A Bigger Splash, Melissa P., Io sono l’amore) ripropone un classico del brivido Made in Italy.
Non siamo davanti al solito remake, ma di un vero e proprio omaggio al re dell’horror. Se nel film del 1977 l’azione si svolge a Friburgo, qui si sposta a Berlino. Guadagnino sceglie di creare, all’interno della vicenda di Susie Bannon (Tilda Swinton – Caravaggio, Le Cronache di Narnia, Solo gli amanti sopravvivono), una storia parallela che ha come protagonista uno psicanalista. Questa scelta stilistica imprigiona lo spettatore. Suspiria di Guadagino non risponde ai soliti canoni del cinema horror: non fa paura.
La tensione viene stemperata e diluita in 140 minuti di pellicola. La paura viene quasi anestetizzata. Una paura mai completamente viscerale. Manca la musicalità dello stile progressive dei Goblin (compagni di viaggio in molti fil di Dario Argento). Ma non si sente più di tanto la loro mancanza soprattutto perché la tensione è impalpabile. Non arriva direttamente. Si insinua nel subconscio di chi sta guardando. Tutta la pellicola si basa principalmente sulla ambiguità dei personaggi, sui dettagli . Guadagnino sceglie accuratamente lo stile da seguire dando tempo allo spettatore di “ambientarsi” e districarsi nelle due vicende parallele che compongono la sceneggiatura. Una sceneggiatura, comunque, mai banale.
Il regista ha spostato l’attenzione dallo spavento di pancia, dalla paura che arriva all’improvviso ma poi, proseguendo nella visione, si affievolisce in attesa di un altro colpo di scena che faccia saltare lo spettatore sulla sedia. Qui il fulcro è qualcosa di più sottile, infido, meno visibile ma più pericoloso: la memoria. La memoria della guerra che porta dietro di sé una serie di conseguenze che non sono visibili ma che lasciano dentro le vittime l’orrore. Quell’orrore che porta con sé il senso di colpa, quel sentirsi sporchi semplicemente perché si è sopravvissuti agli altri. Affianco a questa analisi dell’orrore e della tragedia si può notare un lieve rimando alla maternità e alla femminilità (caratteristiche specifiche delle protagoniste, quasi tutte femminili). La maternità entra dalle porte dell’horror, secondo lo sguardo tenero e dolce di Guadagnino riguardo le madri.
Le scene che si ricordano di più sono quelle danzanti, create dal coreografo Volk. Guadagnino, per sostituire i Goblin, sceglie la musica ipnotica e particolare di Thom Yorke (che sembra trovarsi completamente a suo agio in questa atmosfera quasi abulica). Le scenografie di Inbal Weinberg e la magistrale fotografia di Sayombhu Mukdeeprom rendono la pellicola un lavoro sublime e degno di nota, non solo per lo stile in sé.
La sfida di omaggiare un maestro dell’horror come Dario Argento non spaventa affatto il regista che offre al pubblico una propria e personale versione del capolavoro argentiano.
Pareri Personali
Dopo “Chiamami col tuo nome”, Luca Guadagnino si lancia a piè pari in una sfida con i fan del cinema di Dario Argento. Non ha paura di scontentare gli amanti del genere e, con questa pellicola, dimostra la sua crescita come regista e al sua indipendenza dal passato, pur senza dimenticare la natura originale di Suspiria. Guadagnino sceglie di inserire alcuni stralci di pellicola d’autore senza timore di sembrare fuori luogo. L’inserimento delle visioni (in perfetto stile The Ring) e le conseguenti scene inquietanti rendono il film vivo di vita propria.
Con quattro candidature (e la vittoria di un premio ai Nastri d’Argento), sei candidature al David di Donatello, 2 candidature al Critics Chioce Award, una candidatura allo Spirit Award, possiamo definirlo, senza paura di essere smentiti o criticati per questo, un horror d’autore. Con una buona dose di esoterismo questo film non delude assolutamente.
Non una pellicola facile, ad un primo sguardo, perché la storia si snoda in due filoni paralleli che vanno seguiti contemporaneamente e che regalano una interessante soluzione di continuità di quel fil rouge tanto caro agli amanti del genere.